sabato 3 maggio 2008

L’onda maoista rischia di sommergere il subcontinente indiano

Emanuele Scimìa, 30 aprile 2008
da "Pagine di Difesa" riprendo questo articolo recente sugli effetti che potrebbe avere nel subcontinente indiano la vittoria maoista in Nepal .

Il link alla pagina originale è qui.


Dopo 239 anni di monarchia indù, il Nepal si incammina verso la democrazia svoltando a sinistra. L’indiscutibile vincitore delle elezioni per la scelta dei 601 parlamentari che siederanno nell’Assemblea Costituente nazionale (chiamata a redigere una nuova Costituzione) è il Partito comunista-maoista (Cpn-m), che nella contesa elettorale del 10 aprile scorso ha sconfitto le forze accreditate dei favori del pronostico: il Congresso nepalese (Np) e il Partito marxista-leninista unificato (Uml).

I maoisti nepalesi salgono alla ribalta dopo aver messo fine nel 2006 – grazie a un accordo stretto con altre sette forze del panorama politico nazionale – a una decennale guerra civile, che li ha visti contrapposti al governo centrale e che è costato la vita a circa 13 mila persone. Il patto interpartitico del 2006 obbligò il re Gyanendra a rinunciare al proprio governo personale. Gyanendra, nel 2005, aveva infatti assunto i pieni poteri, dopo aver licenziato il governo in carica, sciolto il Parlamento e sospeso la Costituzione del 1990.

L’impetuosa crescita dell’onda maoista in Nepal può apparire come un fenomeno folcloristico, legato alle esperienze particolari e all’unicità politico-culturale di un piccolo e arretrato Paese asiatico. Ma la realtà è ben diversa. La diffusione di movimenti guerriglieri, che si ispirano operativamente alla ‘guerra di popolo’ teorizzata da Mao Zedong e ideologicamente al suo ‘comunismo agrario’, ha radici profonde in tutto il subcontinente indiano.

Il cuore della propagazione si ha in India, dove da oltre 30 anni infuria la ribellione dei ‘naxaliti’, una guerriglia maoista che prende il nome da Naxalbari, località del Bengala Occidentale, epicentro nel 1967 di una sanguinosa rivolta contadina. I maoisti-naxaliti sono attivi in sette Stati dell’Unione indiana, in particolare in quello centrale di Chhattisgarh (dove in alcuni distretti hanno creato dei propri organi amministrativi e giudiziali, paralleli a quelli dello Stato) e in quello meridionale dell’Andhra Pradesh.

I bersagli dei loro attacchi sono soprattutto gli appartenenti alle forze di sicurezza e i funzionari pubblici. Il primo ministro indiano Manmohan Singh considera la ribellione dei naxaliti come la più grande minaccia per la stabilità del Paese, più pericolosa persino dei conflitti interetnici e interreligiosi o di quelli legati alle polarizzanti disparità sociali che affliggono l’India. Per dare loro la caccia, il governo indiano ha istituito nel 2005 delle milizie popolari tribali (Salwa Judum), che hanno il compito di scortare le forze di sicurezza nelle fitte giungle indiane, dove i guerriglieri maoisti solitamente si nascondono.

I naxaliti giustificano le loro azioni rivendicando maggiori diritti per contadini e tribali, danneggiati in particolare negli ultimi anni dalle espropriazioni forzate ordinate dal governo centrale o da quelli locali per la costituzione delle ‘zone economiche speciali’ (aree destinate a uso industriale, che grazie a un regime di esenzioni fiscali intendono favorire gli investimenti esteri). Ma sono gli stessi contadini e i tribali a condannare i loro eccessi, accusandoli di agire solo secondo logiche di potere.

Anche il movimento maoista nepalese nasce come risposta al divario di condizioni tra poveri (la maggioranza della popolazione) e un ristretto gruppo di ricchi, i cui interessi hanno da sempre ruotato intorno ai destini della monarchia indù. Il Cpn-m nasce nel 1994 da una scissione interna al Partito marxista-leninista unificato, guidata da Prachanda (il suo capo storico, all’anagrafe Pushpa Kamal Dahal) e ispirata dal suo vice Baburam Bhattarai.

Bhattarai ha plasmato l’ideologia del partito non solo sugli insegnamenti di Mao, ma anche sull’esperienza del gruppo armato peruviano Sendero Luminoso. I proclami di lotta in favore degli emarginati e contro il sistema delle caste hanno fatto presa su larghi strati della popolazione: contadini (il 70% dei nepalesi), dalit (25%), donne, madhesi, minoranze indigene dei janajati entreranno nell’Assemblea Costituente, dopo aver già fatto parte del Parlamento ad interim, nominato dopo l’accordo interpartitico del 2006.

Prachanda e i suoi hanno dichiarato da tempo di aver abbandonato ogni proposito di edificare una repubblica maoista. La necessità di tranquillizzare l’opinione pubblica internazionale, la comunità economica locale (legata a doppio filo con la Corona) e l’inquieta etnia madhesi (che chiede un’ampia autonomia per la regione del Terai, dove è maggiormente concentrata), hanno persuaso i maoisti nepalesi che il miglior modo per governare la transizione democratica ed economica nazionale è quello di affidarsi al libero mercato. In cambio il Cpn-m otterrà la sospirata abolizione della monarchia e l’instaurazione della repubblica.

I maoisti nepalesi si giocheranno buona parte della loro credibilità nelle relazioni con i grandi attori regionali. Gli Stati Uniti sono impegnati ad aprire un canale di dialogo con loro, plaudendo agli sforzi compiuti da Prachanda per varare un governo di unità nazionale con le altre forze politiche del Paese, e valutando la possibilità di cancellare il Cpn-m dalla lista dei gruppi terroristici. La Cina rimane in attesa, sospesa tra la possibilità di conquistare ulteriore influenza nel Paese a spese dell’India e i timori per le inclinazioni autonomiste del Cpn-m, che contrastano con la sua politica in Tibet.

L’India – che gode di speciali interessi in Nepal dal 1950 e ha orchestrato le trattative di pace del 2006 – è presa nella morsa. Da una parte sarà costretta a dialogare con Prachanda, anche se non lo ritiene un interlocutore sincero. Dall’altra sarà impegnata a sventare ogni possibile saldatura tra le frange estremistiche del Cpn-m (che già criticano l’evoluzione moderata di Prachanda) e i ribelli naxaliti. Un approdo che, se si dovesse concretizzare, rappresenterebbe un chiaro elemento di destabilizzazione sia del quadro geopolitico nazionale sia di quello regionale.

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