mercoledì 2 dicembre 2009

Interrogativi sul berlusconismo

Pubblico qui un mio articolo uscito sull'ultimo numero di "Piovono Pietre".

Alcuni commentatori ritengono che il ciclo politico legato alla figura di Silvio Berlusconi stia volgendo al termine. Sia che si arrivi alla scadenza naturale della legislatura sia che si acceleri una crisi traumatica successiva alla sconfessione del Lodo Alfano da parte della Corte Costituzionale. Non mi interessa qui fare previsioni. Quello che voglio porre all’attenzione è un tema generale: la sinistra ha formulato un’analisi adeguata del fenomeno che possiamo approssimativamente definire come “berlusconismo”?

Si è detto giustamente che non basta allontanare il padrone di Mediaset dal governo, ma che occorre scalzare il fenomeno politico, sociale e culturale che egli incarna. Questa prospettiva è rimasta però di fatto subalterna a quella che ha focalizzato la critica sulle caratteristiche specifiche del personaggio Berlusconi e sulle ragioni della sua ascesa (controllo delle televisioni, vasta disponibilità di risorse economiche, capacità di manipolazione dell’elettorato, ecc.) fino alla polemica innescata dalle vicende delle sue disinvolte frequentazioni femminili. E’ stato soprattutto Di Pietro e il suo partito a cavalcare politicamente il sentimento di rigetto nei confronti dei comportamenti del presidente del consiglio, sentimento che coinvolge una parte importante dell’opinione pubblica democratica e di sinistra. Insieme alla Repubblica (che pure è più vicina al PD) e Travaglio, sono loro a definire ideologicamente la lettura dello scontro tra berlusconismo e antiberlusconismo.

A sinistra si è cercato di delineare una diversa prospettiva secondo la quale l’obiettivo fondamentale dovrebbe essere di contrapporre a Berlusconi un’uscita, per quanto graduale, dalle politiche neoliberiste indebolite ma non rovesciate dalla crisi. Questa strategia si è scontrata con gli orientamenti prevalenti all’interno della maggioranza che ha sostenuto i due governi Prodi. L’esito negativo delle due esperienze di governo pone l’esigenza di riprendere e approfondire l’analisi complessiva delle vicende italiane degli ultimi venti anni. E’ utile anche per evitare che il dibattito a sinistra si richiuda su stesso, ponendo questioni di identità, di assetto politico ed organizzativo, certamente importanti ma che rischiano di farci arenare in una discussione fondamentalmente auto contemplativa.

L’esperienza del movimento operaio e comunista italiano dimostra che solo quando si è saputo cogliere le grandi contraddizioni politiche e sociali e delineare una strategia a partire da queste, si è riusciti ad emergere da una condizione minoritaria. E’ stato cosi per la capacità gramsciana di analizzare alcune caratteristiche peculiari della società italiana (questione meridionale e questione “vaticana”, ovvero cattolica, innanzitutto) a partire da una comprensione dei caratteri fondativi dello stato italiano. Successivamente il gruppo dirigente comunista si è sforzato di comprendere le ragioni e le caratteristiche innovative che il fascismo aveva introdotto nella società italiana. Mentre alcune letture sbagliate dello sviluppo del capitalismo italiano negli anni ‘60 hanno limitato la capacità di intervenire sulle nuove contraddizioni. Ad esempio le tesi che, a partire dal dibattito Ingrao- Amendola all’interno del PCI, leggevano la società italiana prevalentemente in termini di arretratezza.

A me pare che da questo punto di vista il nostro dibattito sia stato largamente insufficiente. Mentre non mancano ricorrenti dibattiti pro o contro Togliatti o sul ruolo del PCI, o richiami reverenziali a Gramsci, mi pare che assai poco si sia cercato, anche da parte dei difensori d’ufficio, di verificarne alcune lezioni di metodo nell’analisi delle vicende politiche e sociali degli ultimi venti anni. Diversi elementi utili in tal senso possono venire differentemente da testi come “Americanismo e fordismo”, dalle “Lezioni sul fascismo” o dal vasto e complesso sforzo di analisi del potere democristiano realizzato a sinistra nel corso della prolungata egemonia dello scudocrociato.

Il berlusconismo andrebbe indagato intrecciando tre diversi livelli: quello economico-sociale, quello politico e quello ideologico-culturale. Berlusconi va collocato all’interno dell’egemonia neoliberista che ha caratterizzato il mondo occidentale a partire dall’inizio degli anni ’80, cogliendone però le peculiarità. E’ stato poco rilevato che Berlusconi, in quanto imprenditore, non incarna il capitalismo industriale direttamente produttivo e solo marginalmente quello finanziario, ma principalmente una forma di capitalismo postfordista.

Mediaset assorbe una quota di plusvalore in cambio del suo ruolo di interfaccia tra la produzione e il consumo di merci. Crea immaginario al servizio del processo di valorizzazione del capitale. Berlusconi è l’espressione di un capitalismo italiano che si deindustrializza, abbandona il terreno della ricerca e dell’innovazione tecnologica (crollo degli investimenti) e si arrende ad un ruolo subordinato nell’ambito dei processi di globalizzazione? Sembrerebbe di sì e in questo senso il blocco storico rappresentato da Forza Italia e Lega costituisce la base di massa di un capitalismo che arretra nella competizione internazionale.

Il secondo asse di indagine dovrebbe riguardare la capacità dell’azione politica berlusconiana di utilizzare la trasformazione del sistema politico, dal pluralismo garantito dalla proporzionale all’oligopolismo sancito dai modelli elettorali maggioritari, così come la tendenza a spostare sempre più il terreno della politica dalla rappresentanza al governo. In questo senso Berlusconi ha sfruttato scelte politico-istituzionali largamente volute dalle forze della sinistra moderata.

Infine vi è tutto il terreno dell’azione ideologica del berlusconismo (individualismo, mercificazione di tutte le relazioni sociali, anticomunismo). Se questo aspetto ha trovato una certa attenzione in particolare nel sottolineare il ruolo giocate dal mezzo televisivo (si veda il film documentario “Videocracy”). Poco si è cercato di capire come questo cocktail ideologico venga filtrato e accolto da settori popolari ampi ed eterogenei, a quali bisogni esso corrisponda e se questi possano trovare soluzione all’interno di un paradigma alternativo, fondato sullo sviluppo delle relazioni sociali e sulla demercificazione dei rapporti intersoggettivi.

Si sono già accumulati elementi di analisi e di comprensione importanti, ma mi pare siamo lontani da una sintesi adeguata e da una capacità di diffusione di queste analisi in modo tale da orientare il conflitto politico e sociale e di costruire elementi di contro-egemonia. E’ questo un compito necessario se vogliamo evitare che il declino personale di Berlusconi si accompagni ad una sostanziale perpetuazione della sua egemonia sul paese, anche oltre la sua permanenza al potere.

Franco Ferrari

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