martedì 26 agosto 2008

I comunisti russi e georgiani contro Saakashvili


Il Partito Comunista della Federazione Russa e il Partito Comunista Unificato di Georgia hanno diffuso dei comunicati sul conflitto che è scoppiato in agosto tra i rispettivi Paesi a seguito del tentativo georgiano di rioccupare militarmente la regione dell'Ossezia del Sud, di fatto autonoma dall'inizio degli anni '90.

Il Comitato centrale del partito georgiano è intervenuto con un comunicato pubblicato a Tbilisi l'11 agosto. Il conflitto è visto come il "compimento delle profezie (dei comunisti, ndr) sulla militarizzazione pregiudiziale realizzata dalle autorità politiche nazionaliste e pro-fasciste".

La responsabilità del conflitto viene attribuita al governo georgiano appoggiato da alcuni paesi occidentali e organizzazioni internazionali. L'esercito georgiano "armato e preparato da istruttori americani" ha distrutto barbaramente la città di Tskhinvali (la capitale dell'Ossezia del Sud), causando la morte di più di 2.000 abitanti. Vengono ricordate anche le vittime georgiane, ma la responsabilità è interamente attribuita all'"avventurismo irresponsabile del regime di Saakashvili" (il presidente filo-americano della Georgia).

I comunisti georgiani non entrano nel merito della prospettiva delle due regioni dissidenti (Ossezia del Sud e Abkhazia) ma indicano come obbiettivo principale la costruzione di una coalizioni di forze politiche e movimenti sociali che riescano a "liberare la Georgia dal regime anti-nazionale, russofobico, pro-fascista di Saakashvili".

Il Partito Comunista Russo, da parte sua, ha inviato una lunga lettera ai "partiti fratelli e amici", datata 14 agosto e firmata dal Dipartimento Internazionale del Comitato Centrale. Il testo si propone di rispondere alle manipolazioni dei media occidentali, ricostruendo la vicenda storica che è alla base del conflitto. Dell'Ossezia si ricorda che era una provincia unitaria dell'impero e solo dopo il 1917 la parte meridionale è entrata a far parte della Georgia. Il popolo dell'Ossezia del Sud fu oggetto di un primo "genocidio" da parte del governo georgiano che era in mano ai menscevichi negli anni 1918-20, durante la guerra civile (effettivamente un'altra fonte parla di 5.000 morti per mano dell'esercito della Georgia).

Una volta integrata nell'URSS, l'Ossezia del Sud venne annessa alla Georgia con lo status di Regione autonoma. Secondo la ricostruzione dei comunisti russi anche durante gli anni dell'Unione Sovietica le autorità georgiane continuarono ad avere una atteggiamento punitivo nei confronti degli osseti, costringendoli a modificare i loro nomi e ad utilizzare i caratteri dell'alfabeto georgiano al posto del cirillico.

Con il crollo dell'Unione Sovietica si fa sempre più determinante il peso delle correnti nazionaliste georgiane che vogliono cancellare l'autonomia dell'Ossezia del Sud. Il conflitto provoca nuovamente migliaia di morti fino all'accordo di Soci tra Yeltsin e Shevarnadze, che ha determinato una condizione di precaria stabilità durata fino all'agosto di quest'anno.

Il documento ricostruisce anche gli antefatti più immediati del conflitto. I comunisti russi ricordano di avere chiesto, senza successo, che si arrivasse alla firma di un trattato definitivo fra le parti, per evitare la degenerazione della situazione. La causa dello scoppio della guerra viene attribuita interamente alla decisione georgiana di lanciare un attacco contro l'Ossezia del sud nella notte tra il 7 e l'8 agosto scorso. Viene ripresa la cifra degli oltre 2.000 morti, "in maggioranza russi". Infatti, viene ricordato che il 90% della popolazione dell'Ossezia del Sud è composto da cittadini russi (infatti il governo di Putin ha riconosciuto la cittadinanza agli osseti che ne hanno fatto richiesta).

L'azione militare russa viene giustificata come "operazione pacificatrice", legittimata dalla norma della costituzione russa secondo la quale lo Stato deve farsi carico della sicurezza dei suoi cittadini.

Infine i comunisti russi criticano il comportamento unilaterale dei media internazionali che hanno dato attenzione alle città georgiane colpite senza mostrare gli effetti dell'attacco su Tskhinvali che era all'origine di tutta la tragedia.

domenica 24 agosto 2008

Bangladesh: 9° Congresso del Partito Comunista

Dal 7 al 9 agosto scorso si è tenuto a Dacca il 9° congresso del Partito Comunista del Bangladesh (CPB), una delle forze politiche di sinistra che operano nel Paese asiatico.

Il Bangladesh si trova in una difficile situazione politica a seguito del rinvio delle elezioni che erano previste nel gennaio 2008, ma sono state annullate perché non garantivano una trasparente e corretta gestione dello scrutinio. E' in carica un governo ad interim, guidato dal banchiere Fakhruddin Ahmed, che si basa soprattutto sull'appoggio dei militari, mentre il quadro politico è ancora lacerato dallo scontro tra il Partito Nazionale del Bangladesh e la Lega Awami, i due principali partiti che si rifanno entrambi alle forze che si sono battute per l'indipendenza del paese dal Pakistan. Alla guida dei partiti ci sono due donne, rispettivamente Begum Khaleda Zia e Sheik Hasina.

In un sistema politico di fatto bipolare ma con un crescente peso dei gruppi legati al fondamentalismo islamico, la Lega Awami è sempre stata considerata la forza politica più progressista e orientata alla difesa di uno Stato secolare. Dal 2006 al fine di costruire una ampia alleanza in grado di vincere le prossime elezioni ha sottoscritto accordi con partiti di destra e islamisti, tra cui il fondamentalista Khelafat Majlish.

In questa situazione il congresso comunista ha esaminato i problemi del paese, il ruolo del governo ad interim e delle diverse forze politiche, l'influenza degli Stati Uniti e la strategia politica da perseguire.

Per quanto riguarda il governo ad interim è stato criticato per gli aumenti dei prezzi di beni essenziali come benzina e diesel, e per le limitazioni alle libertà democratiche, in particolare dei diritti sindacali.

Il CPB ha confermato le proprie critiche anche alla politica delle alleanze perseguita dalla Lega Awami e la priorità data alla costruzione di una coalizione alternativa di sinistra. La bozza di documento politico disponibile sul sito web del partito ricorda che dal 1994 il Fronte Democratico di Sinistra e dal 1988 la più larga coalizione degli 11 partiti sono stati attivi nella costruzione di un polo di forze democratiche, secolariste, progressiste e di sinistra al di fuori della Lega Awami e del Partito Nazionale del Bangladesh. Queste coalizioni erano impegnate a seguire la tattica convergenza con altre forze democratiche pro-liberazione su questioni concrete (in pratica con la Lega Awami).

Alla fine del 2004 alcune delle organizzazioni partecipanti al Fronte Democratico di Sinistra e alla coalizione degli 11 partiti si sono allontanate da questa tattica. Le due fazioni del Partito Socialista del Bangladesh (BSD) hanno dichiarato di non voler partecipare a lotte comuni con la Lega Awami su nessuna questione. Dall'altro lato 7 partiti tra cui il Workers Party e il Gano Forum hanno deciso di formare una alleanza programmatica con la Lega.

Alcuni partiti di sinistra hanno partecipato alla alleanza dei 14 partiti guidata dalla Lega Awami e si sono poi trovati inseriti nella Grande Alleanza con forze fondamentaliste. I comunisti considerano questa scelta un errore.

In termini di strategia il CPB persegue una "trasformazione rivoluzionaria democratica con un orientamento socialista" Questa strategia viene perseguita con tre obbiettivi: costruire un polo alternativo di forze progressiste, democratiche, di sinistra fuori dall'orbita dei due grandi partiti borghesi, capace di assumere il potere statale; mobilitare le masse attorno a un programma anti-imperialista, patriottico, democratico, progressista; costruire la prevalenza delle forze di classe attraverso le lotte, soprattutto dei lavoratori.

Il Congresso ha rieletto i due leaders uscenti nelle rispettive cariche: il presidente Manjurul Ahsan Khan e il segretario generale Mjahidul Islam Selim. Inoltre è stato decise di introdurre una quota minima di un terzo per garantire la presenza delle donne negli organismi dirigenti a tutti i livelli.

Al congresso erano presenti invitati di 13 partiti comunisti prevalentemente asiatici, tra cui il PC Vietnamita, il PC Cinese, il PC Indiano (marxista), il PC Indiano, il PC dello Sri Lanka, l'All-India Forward Bloc, il PC Pakistano, il PC del Nepal (UML) e l'ambasciatore della Corea del Nord.

Il Partito Comunista del Bangladesh è stato fondato nel 1968, dalla separazione del settore orientale del PC Pakistano e ha assunto l'attuale denominazione al momento della liberazione del paese. Ha propri comitati nei 60 distretti del Bangladesh dove conta su 7.300 iscritti. Non è rappresentato in Parlamento.

venerdì 15 agosto 2008

La situazione politica in Georgia e i rapporti con la NATO

Sulla situazione politica georgiana, riprendo questo intervento di un dirigente del PC Unificato di Georgia dell'ottobre dell'anno scorso, che fornisce degli elementi di comprensioni sulle premesse che hanno portato all'attuale conflitto.

Tbilisi, 01/10/2007

La Georgia sta vivendo il periodo più difficile della sua storia. Le autorità della Georgia hanno peggiorato le loro relazioni con la Federazione Russa fino all’estremo. Non c’è alcuna speranza di miglioramento rapido di queste relazioni. Si continua ad aizzare il nostro popolo contro altri popoli. Tbilisi è preparata a dare una soluzione militare alla questione dell’integrità territoriale della Georgia, il che provoca conseguenze esattamente opposte: il risultato finale sarà la disintegrazione del paese, verrà ritardata di decenni la riconciliazione con i popoli fratelli abkhazo e ossetino, la destabilizzazione si estenderà a tutta la regione del Caucaso.

E’ possibile assicurare con certezza che i conflitti e i punti di tensione organizzati sul territorio dell’ex URSS sono stati il principali fattore di disintegrazione di questo grande paese, bastione della pace per tutto il pianeta. Nel territorio della Georgia vennero organizzati due di questi conflitti interetnici: Georgia-Abkhazia e Georgia-Ossezia. Questi focolai di conflitto permangono ancora oggi. Servono come pretesto per l’ingresso delle forze della NATO nella nostra regione.

La prima fase dell’intrusione della NATO nel Caucaso, e in particolare in Georgia, si è completata durante il governo di Shevarnadze. I centri del conflitto militare sono stati localizzati, ed è iniziata l’espulsione delle basi militari russe dal territorio georgiano, processo che ora si è praticamente completato.

La seconda fase è legata alla cosiddetta “Rivoluzione delle rose” del 2003. Sono arrivati al potere nemici ancora più accaniti della restaurazione di relazioni amichevoli con la Federazione Russa, tra i quali rappresentanti degli interessi degli USA e della NATO. Si è instaurato un regime dittatoriale, che ha rigidamente soppresso qualsiasi manifestazione contro l’avvicinamento alla NATO, contro la soluzione militare della questione dell’integrità territoriale e contro un peggioramento ancora più marcato delle relazioni russo-georgiane.

All’inizio di settembre dello scorso anno i poteri della Georgia hanno scatenato repressioni politiche senza precedenti. In 49 aree popolate sono state portate a termine “operazioni speciali” accompagnate dalla detenzione di una grande quantità di persone, attivisti del partito Giustizia, del Partito Comunista Unificato e di altri partiti dell’opposizione. Centinaia di persone sono state arrestate e interrogate in condizioni di pesantissima pressione morale e fisica per ottenere la confessione che stavano apprestandosi a preparare un colpo di stato armato. Tutta questa gente manifesta attivamente contro la politica interna ed estera antinazionale delle autorità. La principale colpa di questi cittadini risiede nell’aver reclamato un miglioramento delle condizioni di vita dei lavoratori, nell’aver rifiutato la politica di scontro con la Russia e l’intenzione di risolvere militarmente la questione sud ossetina e abkhaza. Usando tali metodi, le autorità georgiane intendevano bloccare la crescita del malcontento popolare, e privare di sostegno, isolare e neutralizzare le sinistre.

Le nuove autorità della Georgia sono sempre più impegnate nello sforzo di scalzare la Russia dal Caucaso del Sud, per favorire la conseguente penetrazione nella regione di USA e NATO. E’ una politica molto pericolosa, in considerazione dei fattori prima elencati e di altri come:

la crisi attorno all’Iraq, paese vicino alla nostra regione; il conflitto Armenia-Azerbaigian e le relazioni tradizionalmente complicate tra Armenia e Turchia, quest’ultima membro della NATO, e la prima alleato strategico della Federazione Russa. Le basi militari, liberate dai russi sono preparate a ricevere le forze armate della NATO. Il territorio della Georgia, con la sua infrastruttura militare, è oggi considerato dagli Americani come una delle basi principali per l’attacco armato all’Iran. Se ciò dovesse accadere, si produrrebbe una crisi ben oltre una dimensione regionale.

La regione sud caucasica è di grande interesse per USA e NATO a causa di molte ragioni. La principale di esse è la collocazione geopolitica della Georgia, tra le regioni meridionali della Russia e del Caucaso del Nord e le importanti risorse energetiche del Caspio. Tutti sappiamo da dove e come fu appoggiata la campagna cecena, che ha portato la Russia sull’orlo della disintegrazione. Il territorio della Georgia è stato usato intensamente per destabilizzare la situazione non solo in Cecenia, ma in tutta la striscia nord caucasica. Tutte queste dispute tra Tbilisi e Mosca, compresi i conflitti in Abkhazia e in Ossezia del Sud, sono solo manifestazioni dello scontro Russia-USA e Russia-NATO in questa regione, di cui i popoli georgiano e russo sono solo ostaggi.

Una direttrice speciale della politica degli USA e dell’Occidente nella nostra regione è quella collegata al tentativo di appropriarsi delle risorse energetiche del Caspio. Dopo il collasso dell’URSS, i ricchi giacimenti che erano proprietà di tutto il popolo e che servivano a garantire in ugual misura lo sviluppo economico delle 15 repubbliche dell’Unione, oggi si sono trasformati nell’obiettivo della rapacità di diverse grandi compagnie petrolifere occidentali.

E’ stato costruito e messo in funzione l’oleodotto Baku-Tbilisi-Erzerum (BTE). A questo progetto partecipano le più importanti compagnie occidentali e ciò determina l’enorme sostegno accordato dagli USA ai governi di Azerbaigian, Georgia e Turchia per la sua realizzazione.

Insieme al suo significato sul piano economico, l’oleodotto e il gasdotto del Caucaso meridionale ne assumono uno di carattere politico. Le autorità georgiane hanno insistito su questo elemento. Nell’occasione il presidente georgiano ha dichiarato che “la Georgia non fa parte dello spazio post-sovietico. Siamo orientati verso Occidente, siamo il principale alleato dell’Occidente, Turchia compresa”. Le condutture energetiche sono assi nella manica delle autorità della Georgia, che danno loro la possibilità di assumere comportamenti ostili verso la Russia, e questo rappresenta il maggiore pericolo di natura politica.

La Georgia è un importante punto chiave, da cui è possibile influire sui processi geopolitici della più importante regione del Caucaso Settentrionale e Meridionale. La politica filo-americana delle attuali autorità della Georgia è un serio ostacolo sulla strada della realizzazione pratica dei piani di avvicinamento politici ed economici dei tre alleati strategici della regione: Russia, Armenia e Iran. La Georgia gioca un ruolo molto negativo, bloccando i processi di integrazione nell’ambito della cooperazione tra stati indipendenti. Tenendo in considerazione i fattori elencati precedentemente, risulta evidente perché “nel contesto dei compiti e degli interessi della NATO, la Georgia si trova a giocare un attivo ruolo nella stabilizzazione e nella sicurezza della regione”, come ha dichiarato il Segretario Generale della NATO. In Georgia si crea sistematicamente un “caos controllato” in accordo con i piani occidentali. I conflitti in Abkhazia e Ossezia servono come occasione per una maggiore penetrazione degli USA e della NATO nella regione. Si fa di tutto per screditare le forze di pacificazione della CSI, rappresentate dai soldati russi. L’aspirazione delle autorità della Georgia è di sostituire le forze di pace russe con quelle della NATO. Disgraziatamente, la Russia, contro cui è diretto il “caos controllato”, in quanto unica superpotenza in grado di competere realmente con USA e NATO, si vede costretta a cedere l’iniziativa e ad operare in condizioni di fatto compiuto.

Quest’anno il Congresso USA ha alla fine ratificato la legge sull’ingresso dell’Ucraina e della Georgia nella NATO. “Il Congresso degli USA invita i suoi alleati della NATO a lavorare con gli USA per la realizzazione del ruolo che la NATO gioca nel progresso della sicurezza globale, e, nella prospettiva del suo allargamento, ad accettare come nuovi membri dell’alleanza gli stati che ne sono degni, e in particolare a connettere la Georgia al piano di appartenenza alla NATO…”, si legge nel testo del documento approvato. Con questo proposito, sono stati accordati per il 2008 stanziamenti specifici per l’assistenza militare alla Georgia.

Senza dubbio gli altri membri appoggeranno le pretese degli USA di agganciare la Georgia all’alleanza al più presto possibile. Il segretario generale ha affermato il 10 febbraio di quest’anno alla conferenza sulla sicurezza di Monaco: “Nel 2009 mi auguro di vedere più paesi nella NATO. Mi auguro che la Serbia continui la sua strada verso la NATO. Mi auguro anche che tutti rispettiamo e prendiamo in considerazione il desiderio della Georgia e dell’Ucraina di trasformarsi in membri dell’Alleanza”.

Ringalluzzito da questa dichiarazione, il presidente della Georgia Saakashvili non presta attenzione all’atteggiamento negativo della Russia nei confronti dell’espansione della NATO, in special modo quando riguarda i paesi della CSI, e fa la seguente provocatoria dichiarazione: “Questo è un segno aggiuntivo dell’irreversibilità dell’integrazione della Georgia nella NATO…”; “Ancora una volta testimonia del fatto che nessuno può impedire l’entrata della Georgia nella NATO…” “per noi ciò significa che ci trasformeremo in membri permanenti della più forte alleanza politico-militare della storia. E’ questo che sogna la Georgia da molto tempo…”

Ma ancora più pericoloso è il fatto che non solo sono state fatte dichiarazioni, ma si sono compiuti passi concreti per creare le condizioni per l’ingresso delle forze della NATO nel territorio della Georgia. Una delle direttrici di questa politica è rappresentata dall’intenso incremento delle spese per la difesa, sullo sfondo delle dure condizioni sociali ed economiche che si sono create nel paese.

La Georgia sta aumentando rapidamente il suo potenziale difensivo. Il parlamento ha intenzione di incrementare gli esborsi per l’esercito di 200 milioni di dollari. Quest’anno si supereranno per la prima volta i 600 milioni di dollari, investendo più di un terzo del bilancio annuale del paese. Oltre a ciò verrà creato un nuovo centro di addestramento per reparti speciali del Ministero della difesa della Georgia nella periferia di Tbilisi.

E’ in programma l’aumento del numero degli appartenenti alle forze armate, fino a 32.000 persone. Ciò significa la formazione di una brigata aggiuntiva di 2.500 soldati, dotati di equipaggiamento militare occidentale.

Il livello di militarizzazione della piccola e povera Georgia è tale da richiamare l’attenzione anche degli esperti occidentali, che hanno focalizzato l’attenzione sul fatto che l’aumento previsto delle spese militari raggiungerà il 4-4,5%, che è superiore al livello richiesto dalla NATO alla Georgia per il suo ingresso nella NATO.

Il fattore Abkhazia e Ossezia del Sud influisce molto sull’ingresso della Georgia nella NATO.

Si tratta delle regioni che, separate dalla Georgia post-sovietica, corrono ora il rischio di unirsi alla Russia. Queste regioni non appoggiano l’avvicinamento di Tbilisi alla NATO. Ci preoccupano i preparativi di guerra prima descritti, poiché essi sono diretti a dare soluzione militare al problema della loro annessione al governo della Georgia, e a garantire la penetrazione dell’influenza americana in questi territori. In mancanza di questo, l’entrata delle forze armate della NATO in Georgia andrebbe incontro a molte complicazioni. Il presidente della Georgia non nasconde, ma dichiara pubblicamente la possibilità di una nuova campagna militare contro le regioni “separatiste” di Abkhazia e Ossezia del Sud.

Le fondamenta politiche, come pure quelle finanziarie e industriali, per la realizzazione della politica aggressiva dell’Occidente nel Caucaso sono state gettate. Uno degli elementi politici principali è rappresentato dal governo filo-americano della Georgia, mentre il ruolo finanziario è assolto dalle grandi compagnie petrolifere occidentali, che hanno colonizzato densamente le regioni del Caucaso e del Mar Caspio. Ci troviamo di fronte ad uno principali bastioni del “Nuovo Ordine Mondiale” proclamato dai moderni imperialisti.

Solo l’unificazione di tutti gli sforzi dei popoli del Caucaso, compresi quelli russo, turco e iraniano, solo l’alleanza di tutte le forze progressiste di questi paesi possono impedire che si realizzino i piani “globalisti” di subordinazione degli interessi del nostro popolo a tali interessi privati.

Temur Pipia
Segretario del Partito Comunista Unificato di Georgia

Traduzione dallo spagnolo per www.resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

giovedì 14 agosto 2008

Momento difficile per la sinistra colombiana

Gli sviluppi recenti della situazione politica colombiana hanno creato una situazione difficile per le varie componenti della sinistra, in particolare per la principale organizzazione guerrigliera, le Forze Armate Rivoluzionarie di Colombia (FARC),attive dalla metà degli anni '60.

Le FARC negli ultimi mesi hanno subito una serie di sconfitte. Dapprima l'assassinio di due componenti del Segretariato Generale, Raul Reyes e Ivan Rios. Il primo rimasto ucciso a seguito di un bombardamento aereo delle forze armate colombiane sul campo in cui si trovava alla frontiere con l'Ecuador. Il secondo è stato assassinato dai guerriglieri che erano stati assegnati alla sua guardia del corpo attratti dalle colossali cifre messe come taglia sulle testa dei comandanti guerriglieri sia dal governo colombiano di estrema destra che da quello statunitense.

Successivamente l'esercito colombiano è riuscito a liberare Ingrid Betancourt ed altri ostaggi detenuti dalle FARC, tra cui tre mercenari americani (contractors), e destinati, secondo l'organizzazione guerrigliera, ad imporre un scambio umanitario grazie al quale ottenere la liberazione di dirigenti e militanti dell'organizzazione insurrezionale attualmente detenuti.

Altri colpi li hanno ricevuti con la diserzione della "Comandante Karina" (Nelly Avila Moreno) la più importante dirigente femminile e con la scomparsa del leggendario leader storico Manuel Marulanda.

Meno verificabili sono altre informazioni fornite dal governo colombiano sulle diserzioni, i morti in combattimento e i prigionieri che avrebbero indebolito le FARC. Si entra qui in un ambito dove è difficile individuare il confine tra la verità e la propaganda.

Gli osservatori, quelli ostili come quelli più neutrali si interrogano sul futuro dell'organizzazione politico-militare. Vi è chi considera probabile un processo di disgregazione, con i vari fronti sempre più isolati fra loro, senza più una vera guida politica e ideologica. Alcuni sopravviverebbero grazie agli introiti derivanti dalla tassazione della produzione e del commercio di cocaina degenerando in forme di banditismo.

Altri più prudenti ricordano che le FARC sono sopravvissute a molti momenti difficili sul piano politico come su quello militare. Soprattutto sottolineano che restano irrisolti gran parte de problemi economici e sociali, oltre politici, che travagliano da decenni la Colombia e che sono all'origine del formarsi e del radicarsi delle organizzazioni guerrigliere.

Da tempo una parte della sinistra colombiana e internazionale si interroga sulla praticabilità della strategia armata in Colombia, dato che non sembra credibile una conquista del potere sul modello cubano o sandinista. Lo stesso Presidente Venezuelano Hugo Chavez, che pure si è speso personalmente per aprire una fase di trattativa e di confronto in Colombia, ha recentemente dichiarato che non vi sono più ragioni per tenere in piedi una organizzazione armata in questa fase storica.

L'obbiettivo immediato delle FARC è di essere risconosciute come soggetto belligerante, mentre per gli Stati Uniti e l'Unione Europea si tratterebbe solo di una "organizzazione terroristica". Sembra difficile che da una possibile riapertura di una prospettiva di pace, che pure sarebbe utile al Paese, possa scaturire quel processo di rinnovamento politico e sociale in direzione del socialismo che è l'obbiettivo dichiarato delle FARC. Si tratterà di vedere se con il nuovo leader, Alfonso Cano, e i nuovi dirigenti inseriti nella Segreteria, le Forze Armate Rivoluzionarie di Colombia riusciranno a sottrarsi alla stretta repressiva e contemporaneamente formulare una nuova strategia.

Una parte della sinistra internazionale ha criticato anche alcune delle scelte compiute dall'organizzazione guerrigliera. In particolare il ricorso ai sequestri di persona. Una critica in tal senso è venuta anche da Fidel Castro che l'ha espressa in una delle riflessione che invia alla stampa cubana.

Da parte sua, la sinistra legale si è unita nel dicembre del 2005, all'interno del Polo Democratico Alternativo, che nelle ultime elezioni presidenziali ha ottenuto il 22%. Il PDA era nato dalla confluenza di due diverse coalizioni:

*il Polo Democratico Indipendente, che raccoglieva le componenti più moderate, guidate da ex guerriglieri dell'M-19 (nazionalista di sinistra) come Antonio Navarro e Gustavo Petro, e dal leader dell'ANAPO e ora sindaco di Bogota Samuel Moreno.

*le componenti più radicali della sinistra, tra cui il Partito Comunista Colombiano, si erano unite invece in Alternativa Democratica.

Ora sembra che le due componenti originarie si stiano nuovamente dividendo sulla questione della alleanze politiche. La componente più moderata è favorevole ad una alleanza con il Partito Liberate, uno dei due partiti storici attorno a cui ha gravitato fino a qualche anno la politica colombiana. Inoltre un parte del settore moderato vorrebbe rompere con le componenti più radicali, ritenendo in questo modo di poter raccogliere maggiori consensi in altri settori della società colombiana.

La possibile rottura potrebbe avere ripercussioni negative sulle prossime elezioni presidenziali del 2010.

mercoledì 6 agosto 2008

Tre documenti si contrappongono nel congresso di Izquierda Unida


Fallito il tentativo di presentare un documento unitario che superasse le divisione all'interno della coalizione della sinistra alternativa spagnola, gli iscritti di Izquierda Unida dovranno scegliere tra tre documenti.

Il dibattito è particolarmente difficile a causa delle divisioni che hanno attraversato la coalizione negli ultimi anni e del pessimo risultato elettorale della primavera scorsa che ha ridotto la rappresentanza parlamentare di IU ad un solo deputato.

La componente guidata dal leader uscente Gaspar Llamazares, che ha già annunciato che non intendere succedere a se stesso, ha presentato un documento intitolato "Per un processo costituente per una Izquierda Unida aperta". Fra i principali sostenitori di Llamazares vi sono Rosa Aguilar, sindaco della città di Cordoba, e Javier Madrazo leader della organizzazione basca.
I sostenitori di Llamazares dispongono di un blog.

Una parte della maggioranza uscente che ha governato la coalizione ha deciso di presentarsi al Congresso con un proprio documento cercando di evitare che la contrapposizione all'interno di IU apra la strada ad una spaccatura tra le sue principali componenti, i cosiddetti Llamazaristi, di tendenza ecosocialista, e il Partito Comunista (PCE). Il loro documento si chiama "Crediamo nel futuro di Izquierda Unida". I principali firmatari sono Angel Perez, dirigente della federazione madrilena, Joan Josep Nuet, dirigente di primo piano della componente catalana Esquerra Unida y Alternativa (EUyA) ed anche del Partito Comunista Catalano, vecchia scissione filosovietica del PC Spagnolo. Anche questa componente dispone di un blog.

Infine la tendenza più radicale è quella raggruppata attorno al Partito Comunista guidato da Francisco Frutos. La sua mozione si intitola "Per una Izquierda Unida, anticapitalista, repubblicana, federale e alternativa, organizzata come movimento politico e sociale". Questa componente presenta le sue idee in un proprio blog.

La Commissione unitaria che ha il compito di gestire il percorso congressuale ha definito il numero degli iscritti che avranno diritto al voto. Gli aderenti riconosciuti sono 48.318 anche se non sono mancate le polemiche su questo dato, contro i 70.000 della precedente Assemblea Federale. Le federazioni maggiori sono l'Andalusia con oltre 16.000 membri, Madrid con oltre 10.000, le Asturie con 4.600, l'EUyA catalana con 3.700, il Paese Valenziano con 3.400.

Il Congresso si terrà nel prossimo mese di novembre.